'O FFUOCO A MMARE
La geografia poetica di Raffaele Pisani
Nel segno unificante dell’amore prende forma questo libro, un’essenziale antologia d’autore che a distanza di quasi mezzo secolo permette di verificare la validità di quanto osservava tempestivamente Giovanni Sarno nel sottolineare il timbro originale della voce poetica di Pisani:
«La particolarità di Raffaele Pisani è che riesce sempre adire ciò che gli canta nel cuore senza tuttavia andare in prestito da nessuno per idee, sentimenti e modo di esprimersi. La sua vena è genuina, il suo stile è facile ma mai banale, il verso musicalissimo, i metri spesse volte quasi preziosi. Poesia vera, dunque, la sua e sorretta sempre da una esemplare sincerità d’ispirazione oltre che da una esuberante ma sorvegliata sensibilità espressiva. Con i tempi che corrono sono, queste, qualità non da poco e su di esse si può fare pieno affidamento» (Giovanni Sarno, Un secolo d’oro, Napoli, Bideri, 1968).
Negli anni, la voce poetica di Raffaele Pisani, nel panorama della poesia contemporanea, secondo le premesse, ha raggiunto una sua cifra molto originale, fatta di elementi innovativi, quasi dissacranti, e di elementi tradizionali, armonizzati in una sintesi in cui si incontrano dolcezza e indignazione, sentimento e Fede, passione d’amore e passione civile. A rendere possibile la sintesi è appunto l’amore, che in modo esplicito e implicito è continuamente evocato, sia quando le poesie si rivolgono alla donna amata, sia quando riguardano Napoli, sia quando danno voce all’ispirazione cristiana dell’autore, sia ancora quando viene delineato il sogno di un’esistenza più autentica che superi e riscatti le angustie di una vita quotidiana in cui non sempre è agevole identificarsi fino in fondo. A quest’ultimo tema è riservata la sezione intitolata ’O posto mio nun è, in cui sembra insinuarsi qualche nota di malinconia, come quella che appare nel breve componimento Stelletelle: «Chiste schizzeche ’e luce / Ncopp’’e scarpe ’e nu viecchio / addeventano cénnere». L’immagine delle scintille che nel breve volgere di un attimo, nel passaggio dalle prospettive infantili a quelle dell’età avanzata, si trasformano in cenere raccolta sulle scarpe di un vecchio, riporta a una dimensione domestica la lapidaria essenzialità dei versi di Quasimodo (Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera) o le riflessioni leopardiane de La sera del dì di festa. La luce delle stelle filanti natalizie non è abbagliante, ma in compenso è scoppiettante e ricca di scintille, mentre la sera diventa qui un piccolo spolverìo di cenere, appena visibile prima di essere calpestato e dimenticato.
Nella scrittura dei poeti è sempre attiva la memoria dei testi degli altri poeti, che offre materia e spunti per continue variazioni. Proprio la capacità di alludere, rivisitare, orientare in altra direzione, accentuare o attenuare, rappresenta in realtà uno dei più frequenti percorsi della poesia che cerca strade nuove. A questa regola della scrittura letteraria, che nella lettura fissa le fondamenta della sua originalità, ovviamente non sfugge Pisani. La poesia sul cielo e sul mare di Catania, per esempio, suggella l’amore per Napoli alimentato e quasi rafforzato dalla lontananza:
Stasera int’a ll’onne
d’’o mare ’e Catania
cade na lacrema
napulitana.
Si coglie in questi versi l’eco evidente di Lacrime napulitane di Libero Bovio che a suo tempo ha fissato una volta per tutte il disagio del napoletano che vive lontano dalla sua città. Una citazione tanto scoperta sembra quasi implicare il barlume di una fuggevole ironia, che attenua, ma non cancella del tutto, la venatura malinconica del testo. Qui si coglie peraltro anche un capovolgimento rispetto all’antico tema dell’amore da lontano, cantato nel medioevo da Jaufré Rudel, che proprio nella lontananza trovava alimento per il sentimento verso la donna amata: per Pisani l’amore coltivato con cura da lontano non è quello per la donna (che invece è vicina) ma è rivolto alla città lontana.
La distanza da Napoli rappresenta infatti un motivo ricorrente della poesia di Pisani, che alla città d’origine rivolge il più delle volte la ricerca di un altrove in cui collocare la vita vera, il superamento dei limiti quotidiani. Il sogno di un’altra vita si profila anche nella fuggevole immagine suggerita dai Mellune appise, che permettono di trasformare in una momentanea ma appagante conquista la memoria dell’estate:
Cielo ’e nuvembre.
Nuvole ’e chiummo.
Mellune appise
for’’o balcone
mettono estate
dint’’e penziere.
Il mare, il cielo, la luce e il sole di Catania hanno i tanti noti risvolti positivi, che sono poi ulteriormente moltiplicati dalla forza durevole dell’amore che ha portato Raffaele Pisani a cambiare città e vita; ma la presenza di Napoli resta costante nei suoi versi e acquista i colori di un’accorata partecipazione, pur da lontano, ai problemi della città.
Come altri autori napoletani, per le circostanze della vita, Pisani si trova lontano da Napoli, ma senza interrompere la consuetudine di un contatto quotidiano, intensificato da frequenti ritorni: Napoli insomma resta la sua città, il suo mondo, il suo orizzonte di riferimento, nonché la fonte della sua costante e amorevole apprensione, che gli permette di vedere gli splendori ma anche i limiti di una «terra addó se mmesca ’o mmeglio e ’o ppeggio». Da qualche tempo, soprattutto da quando l’irruenza di internet sembra quasi impedire la possibilità di una riflessione pacata, capita che di tanto in tanto qualcuno scagli invettive contro gli scrittori napoletani che “osano” additare alcuni aspetti negativi della città e dei suoi abitanti: pensiamo solo, per fare un esempio, che a un autore come Roberto Saviano spesso non sono riservate critiche di taglio letterario (in quanto tali sempre lecite nei confronti di uno scrittore), ma vere e proprie invettive velenose, dirette a colpire non l’opera, ma la persona.
Non è escluso quindi che prima o poi qualcuno si accorga che i toni signorili e le tinte tenui delle poesie di Pisani svelano un impegno civile che impedisce al poeta di fingere che tutto va bene. Secondo taluni alfieri della napoletanità veicolata dai mezzi telematici, gli scrittori napoletani dovrebbero passare il tempo e dedicare tutto il loro inchiostro solo a descrivere i bei paesaggi, le albe incantate del sole che sorge dal mare, i tramonti struggenti, le acque limpide increspate da brezze leggere, nonché il dolce tepore di una città accogliente: ma per fare ciò, come vorrebbero i veementi e improvvisati critici letterari della rete, non occorrono né poeti, né prosatori. Un tempo queste immagini sarebbero state definite immagini da cartolina. Oggi le cartoline non si usano più, ma alla trasmissione di queste immagini (certamente belle e suggestive, nonché in parte reali, non c’è da discutere) sono sufficienti le fotografie spedite attraverso un cellulare, i pieghevoli di un ufficio del turismo o le pubblicità di alberghi e ristoranti. Non c’è dubbio insomma sul fatto che Napoli sia bella, ma non si può pretendere che un autore non veda altro, che renda la sua opera equivalente a una rassegna di fotografie (belle, ma ovvie) da inserire in rete. A un autore, per una sorta di imperativo etico, toccano di necessità riflessioni più articolate e approfondimenti anche problematici: il lettore, per altro verso, deve assumere su di sé l’onere della lettura e non può pensare di scorrere le pagine di un libro con la superficiale, preconcetta o aggressiva attenzione che dedica alle notizie e alle immagini presenti in rete.
In un mondo in cui tutto andasse bene, del resto, forse non si avvertirebbe nemmeno la necessità della letteratura, che in un modo o nell’altro da sempre è chiamata anche ad additare e sottolineare gli snodi problematici e i punti critici, proprio perché il compito degli intellettuali è anche quello di mostrare le vie d’uscita e le soluzioni che nel chiaroscuro non tutti intravedono. In oltre cinquant’anni di attività poetica l’attenzione verso la realtà contemporanea è stata sempre presente nella poesia di Pisani, che proprio per l’ampiezza dei temi trattati si distingue nel panorama della recente poesie in dialetto. In questa ampiezza tuttavia sono tre i nuclei tematici prevalenti: l’impegno sociale e civile, l’amore, la dimensione religiosa che apre peraltro a una forma più larga di amore. In una preliminare visione d’insieme si può notare che queste diverse direzioni tematiche sono tenute insieme da una intrinseca qualità delle poesie di Pisani o, per meglio, da una disposizione mentale e caratteriale del poeta, che si configura in effetti come
una precisa scelta di poetica. Pisani infatti non è un poeta concentrato su se stesso, non limita a se stesso il proprio orizzonte d’osservazione, ma è sempre proiettato verso l’altro. Nelle poesie d’amore al centro dell’attenzione non è il proprio sentimento, ma è la donna con la quale l’amore si realizza. Lo si vede molto bene nelle poesie che fanno da sottofondo a un saldo e delicato sentimento che lega l’autore a Francesca. La propensione verso l’esterno, verso gli altri, della poesia di Pisani è ancora più evidente nei tanti versi dedicati a Napoli, città amata – questa volta con sofferenza – e continuamente presente nelle diverse raccolte. Come l’amore, anche Napoli è un argomento che ritorna spesso nella poesia in dialetto, ma anche in questo caso l’angolazione scelta da Pisani si allontana dalla prospettiva più prevedibile. Se la visione dei problemi non conduce mai il poeta al cupo pessimismo o alla desolazione è anche perché i versi di Pisani sono animati e sorretti da una Fede profonda che impedisce all’autore di perdere fiducia nell’uomo. Anche in questo senso la sua poesia è aperta all’esterno: le intense e delicate preghiere di Llà, cu ‘a speranza (1988) nascono da un dialogo con il Signore che raggiunge momenti di una freschezza quasi francescana. In particolare per questo suo impegno cristiano la poesia di Pisani acquista una sua collocazione originale nella poesia italiana contemporanea.
I temi a cui si è accennato finora sono al centro anche dei versi presenti in questa raccolta, come confermano alcuni puntuali riferimenti ai testi.
Partiamo dallo spazio riservato a Napoli, evocata con amore ma anche con animo accorato, in quanto visto come fonte di ricorrente preoccupazione. Per Pisani la serena visione di una città tranquilla, immersa nel quieto godimento delle sue impareggiabili bellezze non è impossibile, ma in modo significativo è confinata nelle ore che precedono il risveglio, segnate ancora dalle sfumature oniriche che inondano i versi di Primma matina. Trascorsa quell’ora di grazia (’St’ora quanto me piace), il poeta non può tacere e nelle sue parole si fa strada a volte un’indignazione composta ma sofferta, che, per esempio in Atto ’e dulore, lo porta a etichettare come luoghi comuni le immagini di chi si ferma alle visioni di bozzetti non più credibili:
Nun ’e screvite cchiù tutte sti cchiacchiere,
guardatevella meglio ’sta città
’o mare nun è verde: ll’onne chiagneno!
E chistu cielo nun è cchiù turchino!
Nun cantano ’e ffigliole dint’’e vicule
E nun se sente cchiù manco ’o pianino.
Queste non sono certo parole di invettiva, ma, secondo il titolo, parole di una preghiera (tale appunto è l’Atto di dolore) in cui però proprio l’ammissione dei limiti apre lo spazio alla speranza «’e na città cagnata, grande,/ p’’e strade ’e na città senza gnuranza / e senza cchiù miserie, / senz’ingiustizie, vasce cupe, mbruoglie, / senza mpruvvisazione e guapparie». La speranza di un mondo migliore, di un futuro non amaro passa necessariamente attraverso l’osservazione dei problemi, laddove l’incapacità di vedere i problemi non porta forse molto lontano e non fa nemmeno veleggiare verso il largo la “navicella” dell’ingegno poetico. Il paesaggio di Napoli che si intravede nei versi del poeta non è lucido come una cartolina, ma porta in evidenza le luci e le ombre, i riflessi dorati e le lacrime, come nella poesia ’O ffuoco a mmare che per l’ampio andamento della sintassi fa venire in mente l’Arillo, animaluccio cantatore di Salvatore Di Giacomo, inquadrata peraltro in un contesto simile (anche lì «Sera ’e settembre – luna settembrina»):
Schìzzeche ’e stelle,
margaretelle ’e vrito culurato,
palomme d’oro
pareno ’e ggranate
ca ’a miez’’o mare saglieno e s’arapeno
dint’a ll’oscurità
d’’o cielo
cujeto
patrone ’e sta serata settembrina.
Miracolo ’e na festa ’e Piererotta
ca nun esiste cchiù
è stu ffuoco a mare,
e int’a stu ffuoco torna
alleramente n’epuca
ca Dio benedicette
Schìzzeche ’e stelle,
margaretelle ’e vrito culurato,
palomme d’oro
pareno stasera
’e llacreme ca ’o popolo,
dint’a ll’oscurità
tènnera ’e ’sta serata settembrina,
riala a chillu suonno
ca se chiammava Napule!
Nella poesia di Salvatore Di Giacomo prevaleva la malinconia del singolo nell’autunno (stu pover’ommo, / stu core cunfuso, / sti penziere scuntente, / e st’anema ca sente / cadé ncopp’a stu munno / n’ata malincunia — / chesta ’e ll’autunno …), mentre nei versi di Pisani entrano le lacrime del popolo (quindi non si tratta di una malinconia individuale), ma si affaccia anche l’immagine del sogno «ca se chiammava Napule» con l’ipotesi che come un miracolo, in una serata settembrina, acquisti concretezza un’immagine positiva della città.
Nella prospettiva coerentemente cristiana, di Pisani, come si è già ricordato, l’osservazione dei problemi non conduce sul baratro del pessimismo, ma rappresenta l’indispensabile punto di partenza alla ricerca di una soluzione. In un tempo in cui si è appena concluso l’anno giubilare della Misericordia, Pisani in un certo senso ci ricorda anche che questa scadenza non segna certa la fine della Misericordia divina («Llà, cu ’a speranza sempre cchiù vicina / ca Tu me dici: “Trase, te perdono”»), ma ci porta anche a riflettere sul fatto che ciascuno può essere chiamato a un impegno concreto. In questa direzione suona ancora come una sollecitazione etica l’evocazione di un ambiente di vita in cui la vicinanza tra le persone acquista un valore profondo:
Llà songo nato, llà, int’’e viche addó
ognuno
sparte cu’ ll’ate
penziere e suonne,
jurnate ’e fantasia
e tiempe senza genio.
La condivisione è qui richiamata come momento decisivo di una socializzazione sempre possibile (significativo, da questo lato, il ricorso al tempo presente) e non semplicemente proiettata nel passato sull’onda di un rimpianto per i tempi belli di una volta.
Con Catania e Napoli (a cui si affianca già il ricordo di Afragola) un’altra località entra in scena nelle poesie: è Assisi che nell’orizzonte di Pisani assume il ruolo di una seconda terra madre
Io penzo ’a terra mia bella e luntana,
però me fermo ccà, int’’e bbraccia toje,
e dint’’e bbracccia toje io m’abbandono
comme nu criaturiello s’abbandona
cercanno ammore nzin’a mmamma soja.
Assisi è il luogo del superamento dei conflitti, della pace («pace cercata ’a sempe, e ccà truvata»), della ricerca di un nuovo contatto con la natura. In San Damiano, il canto all’apparenza dialogico tra un passariello e nu coro d’aucelluzze da un lato evoca il celebre episodio della vita di san Francesco, ma dall’altro riporta direttamente al Vangelo, al passo di Matteo (6, 26), in cui Gesù fissa un paragone tra gli uccelli e gli uomini: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro?». Nel fuggevole accenno della poesia sembra quasi di cogliere una sorta di identificazione con la condizione degli uccelli del cielo, come se il poeta sentisse la loro stessa ventura:
Che bella cosa
nascere aucelluzzo:
gocce ’e rusata
pe’ vévere,
àcene ’e grano
pe’ mangià,
padrone ’e tutto
senza tené niente.
Nella dimensione spirituale dettata dalle atmosfere di Assisi, risalta tuttavia la dolce condivisione con Francesca («Tu m’astrigniste / cchiù forte ’a mano…)», che a molte poesie offre ispirazione, anche quando il tema centrale non è quello dell’amore. Del resto la poesia San Damiano è inserita nella sezione intitolata Ammore, a dimostrazione del fatto che i diversi momenti della poesia tendono a un’unitaria disposizione di amore.
Come si è già anticipato, un tema speciale nella poesia di Pisani o, per meglio dire, il tema dominante, anche quando è soltanto implicito, è proprio quello dell’amore che diventa la principale via di accesso al contatto con gli altri e con l’universo, quasi un “luogo” ideale per dare avvio a ogni altra forma di esperienza e di conoscenza:
Saccio nu puosto ch’è
cónnola ’e suonne.
Saccio nu posto
ca me dà pace
comme dà pace sulo na chiesiella
sperza ’e campagna,
nu posto addó stu core ’e ogni pecché
trova ’a risposta
e trova, primma ’e tutte ll’ati ccose,
ragione e genio ’e vita …
vicino a te!
I diversi temi della poesia di Pisani si collocano insomma in una sintesi armoniosa, tenuta insieme, come può accadere nella vita, da un sentimento unificante rappresentato da una disposizione positiva che aiuta a vedere la luce riflessa nei diversi frammenti della vita quotidiana, invece di coglierne soltanto le scoraggianti oscurità. La forza positiva, l’energia costante è data dal sentimento per la donna amata, che fissa le coordinate e diventa punto di riferimento stabile nella geografia poetica di Raffaele Pisani.
Napoli, 3 febbraio 2016
Nicola De Blasi