IL DIALETTO SI SALVA SALVANDO LA POESIA! (IL MATTINO, 01 luglio 2012)
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A proposito della introduzione dello studio del dialetto nelle scuole secondo me basterebbe arricchire il programma di “lettere” con poesie di poeti dialettali scelti tra i migliori, e delle varie epoche, e si salverebbe non solo la parlata popolare e i termini che inevitabilmente si vanno perdendo per la naturale evoluzione di ogni lingua, ma anche le nostre splendide tradizioni culturali. Sono le poesie (in particolare) e le canzoni “lo scrigno” dove ritroviamo vocaboli e detti della nostra storia e delle nostre radici. Pertanto, solo indirizzando i ragazzi alla lettura - e quindi allo studio dei poeti più rappresentativi – ribadisco – delle varie epoche, riusciremo a salvare qualcosa delle nostre parlate popolari dall’inevitabile oblio del tempo e da una umanità sempre più “distratta e superficiale”. Pertanto, arricchendo i programmi scolastici con opere dialettali e facendo leggere più poesie agli alunni, diventa consequenziale lo studio del dialetto, delle regole grammaticali, della etimologia dei vocaboli ecc. E sarà la particolarità di alcuni termini – tra cui tanti oramai in disuso – e l’arguzia e il sentimento del poeta che sicuramente susciteranno un certo interesse nei ragazzi stimolandoli all’approfondimento ed allo studio – che così risulterà gradevole e affatto noioso – della nostra parlata dialettale. E poi, mettiamo la parola “fine” alla balzane proposte di qualcuno che addirittura vorrebbe sostituire la lingua italiana con il dialetto. Teniamocelo ben caro il nostro italiano, sia per la sua bellezza letteraria sia per dare un senso al sacrificio di tanti nostri giovani connazionali che morirono per vederci tutti affratellati, sotto una sola bandiera e una sola lingua che ci accomuna tutti e ci fa sentire non campanile ma NAZIONE. Il dialetto dobbiamo considerarlo come fosse “il gioiello di famiglia” da amare, da custodire, da difendere, da mostrare, da lasciare in eredità ai nostri figli sollecitandoli a rispettarlo e ad amarlo come abbiamo fatto noi (o per lo meno alcuni di noi) e poi a tramandarlo ai loro figli. Tutto qui!
Raffaele Pisani
(IL MATTINO, 01 luglio 2012)